Presentazione del Collettivo

Siamo un collettivo multidisciplinare in perenne rincorsa, interessato alle intersezioni fra arte e tecnologia, le nuove possibilità dei linguaggi digitali e il modo in cui questi trasformano la società e l'ambiente in cui viviamo.

un * salta, dove * è qualsiasi cosa che possa letteralmente e ironicamente saltare, scoppiare, trasformarsi, andare oltre, perché certe cose non ci vanno bene e pensiamo di poterle cambiare.

Il nostro nome è imprevedibile e mutevole. La natura dell'asterisco ci permette di trasformarci in qualsiasi cosa e combinare ogni volta simpatici siparietti. Siamo particolarmente affezionati alle dinamiche generative perché hanno un tocco inaspettato. Ci piace pensare a strumenti che le persone possano usare, applicazioni che hanno senso in virtù di una collettività e ambienti social tecnologici. La nostra modalità è sempre stata corale.

Per scrivere abitiamo documenti online innestando uno dentro l'altro i discorsi, tornando nelle frasi degli altri e ampliandole, creando botta e risposta come in una sorta di chat trasversale non a senso unico. In questo modo nessuno ha l'ultima parola e le frasi si sedimentano in files che vengono riaperti dopo mesi e hanno tutta un'altra consistenza, così come le voci degli autori mosse e sfumate. Per questo report del Senegal abbiamo scelto di fare lo stesso: vi raccontiamo il nostro viaggio-progetto facendo salotto virtuale. Questa caratteristica genera progetti articolati e senza contorni precisi: progetti che tornano a mimetizzarsi con la realtà da cui sono emersi.

Questo gruppo è naturalmente disorganizzato, ha una soglia di attenzione molto bassa ed è super sensibile agli input che arrivano da ciò che lo circonda. Essendo il collettivo un organismo plurale, gli ambienti che ci circondano sono tanti e gli stimoli si moltiplicano di conseguenza. Noi non possiamo fare a meno di captarli tutti e assimilarli.

Facciamo principalmente cose con i computer e con le persone.

I nostri setup sono leggeri: due piccoli videoproiettori a batteria, qualche pc portatile e una saponetta per connetterci ad internet se siamo in giro. Lavoriamo sulle modalità d'uso della tecnologia, tentando di scatenare forme nuove, ripensando gli utilizzi, hackerandoli o costruendoci sopra qualcosa di differente. Niente effetti speciali o videomapping olografici per un * salta: cerchiamo di lavorare più sui circuiti mentali e tecnologici che rendono la realtà quella che è. Li esploriamo dall'interno cercando di modificarli, di stretcharli per ampliarli, trasformarli e intuire che un'alternativa allo stato presente è possibile.

Quando si è assuefatti da certe dinamiche, un * salta arriva e ti scuote fortissimo gridando
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA[1] ,
o perlomeno ci piacerebbe.

0. Panoramica della ricerca

Il Senegal è lontano e, per quanto ci si possa preparare in vista di un viaggio, il lontano arriva e lo prendi in faccia come non te lo aspetti proprio. è l'esatto contrario di quello che succede sempre quando pianifichi qualcosa o provi a fare degli esperimenti precoci. La realtà non è mai come te l'eri immaginata: cambia il punto di vista, da che parte è orientato il letto, le luci, il copione delle situazioni, e via così.

Il collettivo un * salta è nato con la prospettiva di questo viaggio verso il Lontano.un * salta è come un cristallo di sale che si forma attorno all'idea dell'andare in Senegal, dove Federico Poni era stato in veste di fotoreporter assieme al Comitato Pavia Asti Senegal (CPAS), onlus attiva dagli anni ‘80 nella regione della Casamance. L'esperienza gli era stata sia un trauma sia un'appassionante rivelazione tale da riunire i suoi amici per tornarci al più presto. Con questa vaga ma irresistibile prospettiva, appunto, si è costituito il collettivo un * salta. Un cristallo che ha sviluppato le proprie caratteristiche cercando punti di intersezione fra le spinte dei singoli. Da minerale grezzo a pubblicazione interminabile, la distanza è riscontrabile solo nel mondo della materia, ma, del resto, le cosesolide durano nel tempo.

Per quanto questa idea di Lontano fosse vaga in tutte le sue implicazioni, avevamo in mente delle coordinate geografiche ben precise: il villaggio di Koubanao, come si trova scritto sulla segnaletica stradale e su Google Maps; o Coubanao, come invece si trova spesso sul web. Più in particolare, il liceo della zona, dove Poni ha avuto un'epifania.
Il tema del progetto è stato chiaro fin da subito ➛ in che modo uno strumento globale come internet può manifestarsi a livello locale?
Le declinazioni formali invece abbiamo dovuto rivederle infinite volte, sbattere la faccia sugli errori e sui preconcetti, modificare, cancellare, riscrivere. Nonostante le continue riformulazioni, la direzione definitiva siamo riusciti a delinearla solo una volta giunti sul posto ed entrati in contatto con i ragazzi del liceo. Ripensandoci, non avrebbe potuto essere altrimenti.

A Koubanao abbiamo sviluppato due applicazioni:

Il nostro progetto è stato anche un viaggio ed è importante ribadirlo perché ne derivano alcune cose:

  1. Imprevedibilità, non parlando di imprevisti, ma più che altro di leggi della realtà: ecco queste sono diverse nei diversi posti e senza abitare queste diverse condizioni ogni progetto è a metà tra il piano per rapinare una banca e le palline dell'Ikea.
  2. Il primo impatto genera forze esagerate e sconvolgenti: questo può voler dire che i risultati di questo viaggio forse possono essere un po' sballati, può voler anche dire che a questi seguiranno tutta una serie di scosse di assestamento, nuovi incontri e il proseguire di un percorso condiviso.
  3. Questo collettivo esiste in funzione di una profonda idea di ospitalità. Dalla nostra precedente residenza ad Agrigento abbiamo adottato una forma di accoglienza reciproca vicina all'abitare. L'ospite è diverso dal turista.

Uno dei momenti più importanti durante la permanenza è stato quando abbiamo realizzato che avevamo ragione a pensare alla possibilità di un internet differente in Senegal, un internet specifico per quel luogo. La cosa su cui eravamo scivolati all'arrivo è che forse ci aspettavamo di trovarlo già bell'e pronto e questo ci aveva lasciati per un momento in stato di shock. L'internet locale non è per forza qualcosa di spontaneo: è qualcosa che va coltivato e stimolato, qualcosa che richiede uno stretto confronto con le identità e le contraddizioni dei luoghi che abita.

Stiamo scrivendo questo report per organizzare in un discorso tutto quello che ci è capitato durante il viaggio e la sua preparazione. Questa pubblicazione è un esperimento, non abbiamo la pretesa che sia coerente e non abbiamo l'arroganza che sia esaustiva. Si tratta di un coro di voci che affrontano le cose da punti di vista diversi. è importante registrarle per riconoscere una dignità a quei particolari che altrimenti rischiano di perdersi, di diventare una decorazione di sfondo o una fase passeggera. A distanza di un anno iniziamo a capire cosa è successo in quei giorni e può far ridere o cringe rileggere certe cose scritte, ma anche se stupide noi adesso sappiamo che sono importanti.

Fateci sapere cosa ne pensate, in modo da ampliare, integrare e rivedere le traiettorie di questi ragionamenti. Se vi piace qualcosa ottimo. Se trovate qualcosa di estremamente fuori luogo o violento cercateci e ne parliamo volentieri. è difficile per noi occidentali confrontarsi con il diverso e l'altro senza sbavature coloniali. Noi ci abbiamo provato mettendo in pratica il concetto di ospitalità e sono nate queste storie.

ciao
un * salta

[1]tipica espressione di Favara (AG)

1. Perché in Senegal?

Il binomio trauma e rivelazione
→ il primo viaggio (di Poni)

🍠 Con gli amici del Comitato Pavia Asti Senegal e la mia amica Ada parto con la macchina fotografica incaricato di scattare i momenti passati assieme agli abitanti dei villaggi della Casamance. Ada è figlia di Mimmo, il segretario del gruppo, che mi ha proposto di seguirli in Africa nel novembre del 2017. Il Comitato coopera con quella regione da più di trent'anni e a tutti gli effetti si può dire che sia nata una relazione di amicizia. Una particolare informalità si è sviluppata nei villaggi di Django e Koubanao, situati nella zona più verde del paese. Così, come abbiamo fatto noi di un * salta due anni dopo, da Dakar siamo scesi verso la Casamance in traghetto. Ricordo perfettamente la notte in barca: Ada ed io andavamo in giro sul ponte, il vento oceanico ci bagnava i capelli col sale e ridevamopensando a come un ciao sul bus del nostro quartiere ci avrebbe portato in Senegal 6-7 anni dopo. Mimmo, suo papà, sprizza energie da tutti i pori ed è una persona entusiasta come me.

La banda è composta anche da: Marta, classe over 80, ha girato il mondo e fu la prima che con il proto-CPAS approdò in Senegal; Damiano, ricercatore all'uniPV; Baba, falegname senegalese di cui si parlerà in un altro capitolo. Ad aspettarci a Ziguinchor c'è Angelo, consigliere del CPAS e che qui bazzica spesso.

Ci alziamo all'alba con un sole gigante che sorge in stile cinematografico, la classica palla arancione che fin quando non la vedi dal vivo non capisci la potenza della scheda grafica del mondo. Caffè in una mano e reflex con obiettivo 300mm dall'altra, la tengo in equilibrio facendo pressione sulla capoccia.

'

Arrivati a Ziguinchor siamo ospiti presso un hotel amico del Comitato, è abbastanza lussuoso: c'è un bel ristorantino e anche una piscina con vista sul fiume.

Lì troviamo una cricca di rapper, fun fact: uno di loro l'avevamo conosciuto sul traghetto perché ci aveva chiesto di scattargli una foto. Facciamo amicizia, rappano e il loro manager/videomaker Maminasi scopre essere di Django, il villaggio la cui scuola elementare è stata fondata dal papà di Mimmo.

'

Quella sera mangiamo con il proprietario dell'Hotel e sua moglie: hanno servito anche carne di coccodrillo. Io ho mangiato le mie amate cipolle.[1]

Finito il banchetto, Ada ed io salutiamo la tavolata per fare un giro con gli Hardcore Side, ovvero i rapper incontrati nel pomeriggio.

Giriamo per la città, la notte è semivuota, c'è profumo di arachidi che vengono tostate, i regaz cantano un extrabeat e con Ada parliamo di quanto sia meraviglioso essere in un altro continente.

Torniamo in hotel, Mimmo in un impeto di allegria alimentata da circostanze e alcool mi chiama Alessandro l'intellettuale di sinistra tutto ok ma in realtà mi chiamo Federico.

'

Arrivati a Koubanao, dopo i rituali saluti dei membri più storici del Comitato con gli amici del villaggio, partiamo per il tour delle scuole locali: due materne, una elementare e il lycé e.

'

Il lycé e è situato nella via principale; oltre all'istituto superiore c'è la farmacia, un paio di piccoli alimentari che noi chiamavamo siop, la moschea, la sede del Kdes (l'associazione locale per lo sviluppo della Casamance), lo spazio ospedaliero, la banca, le capre, 🌵 le faraone a pois i cani randagi tutti uguali, le mucche bonarie ma con le corna aguzze, 🍠il negozio di vestiti, gli alberi con sotto i fioi in motorino perennemente in siesta, la fermata dei car rapides (autobus). Una piazza a tutti gli effetti che nelle ore diurne viene popolata dalle donne che vendono rinfreschi per gli studenti, un ragazzo con le angurie e giare di terracotta di dimensioni bibliche, i meccanici che sistemano biciclette e motorini, il muezzin che prega con i soci, tanti con lo smartphone in mano e la musica in condivisione ad alto volume. A pranzo, alcuni vanno nel ristorantino associato all'istituto professionale: pochi ristori in loco, molti ragazziniarrivano con i grandi vassoi di metallo per portare take-away a casa, il fegato ottimo, il bissap. Ricordo di aver chiesto a Malamine Dieme, nostra guida nel villaggio, quale fosse il suo piatto preferito e lui non ha capito la domanda. Questo è l'andazzo generale del villaggio.

Entriamo nel liceo, un saluto al guardiano e cominciamo l'ispezione di
quell'architettura tanto diversa dalla nostra italiana. La biblioteca ad esempio è un edificio tondo molto fresco all'interno ( 🌵 molti libri sono stati donati e sono quasi tutti in francese o inglese, nessuno in wolof o djola) . Nelle aule grandi lavagne, finestre senza vetri, i muri esterni affrescati.

E da uno di questi è partito tutto, il murale dell'aula di informatica: dentro computer e monitor, fuori un dipintoepifanico,appena letto è rimbombato nella mia testa, entusiasta prendo la macchina fotografica e scatto una foto.


Internet: to learn, to discover and to be closer.

The world aplanetary village.

'

Due frasi che racchiudono molteplici significati. Scritti e letti ora, senza contestualizzazione, paiono magari un utopico <h1> fine anni ‘90, ma trovarlo senza preavviso in mezzo al polveroso Senegal aveva un che di emozionante.

'

Il murale come interfaccia—icona
per accedere a Coubanao

🌞 Esistono immagini che puoi sentire e altre invece che non hanno nessun potere attivo e sono inerti o addormentate o semplicemente anonime. Come i nomi e i gesti, anche le immagini si caricano e svuotano di significati, in processi che un po' a marea vanno e vengono, interagendo con l'ambiente che abitano. Allo stesso tempo, di riflesso, certi luoghi e certe situazioni in cui l'immagine si addensa acquistano un senso nuovo.

Il murale dell'aula di informatica è stata un'immagine dura contro cui Poni ha battuto la faccia e ne è stato profondamente colpito: la sua fisicità, la sua posizione e il contesto incredibile in cui si trovava ha fatto come slittare la terra da sotto i piedi e in questo modo l'ingranaggio ha saltato un dente del suo meccanismo andando dritto a quello successivo e mettendo in moto il lavoro del collettivo.

Il murale ha generato un mulinello di eventi e sia nella sua forma reale che nelle continue moltiplicazioni digitali ha iniziato ad assorbire e trasudare il senso, i discorsi e i significati di ciò che gli stavamo costruendo attorno. Con dinamiche meticce tra il meme e il santino con l'immagine della madonna, un * salta si è affidato all'icona del laptop disegnato sul muro per avanzare un'ipotesi ⤏ che internet potesse essere diverso se utilizzato in contesti diversi dal nostro, che internet potesse avere una propria località, una propria lingua straniera, dei gesti o costumi non scaricati di default, ma installati localmente e condivisi con la comunità online.

Al ritorno di Poni dal Senegal si è però attivato anche un altro murale: un murale digitalizzato, fotografato, caricato su Facebook e scaricato nelle nostre chat. Un murale taggato e compresso, privato di tutti i suoi metadati cui ne sono stati probabilmente sovrascritti altri: i suoi contenuti sono stati tradotti e riconfigurati per la semantica web dagli algoritmi di un generico social. L'immagine digitale oltre al significato si riempie e svuota anche di informazione, spesso a nostra insaputa o senza che ci facciamo troppo caso. Un guscio di immagine che viaggia in cerchi sempre più ampi, passando dalla facciata di una scuola in Casamance all'hard disk di un data centre svedese, secondo alcune logiche disegnate confezionate ritagliate e cucite in California per poi vestire i nostri smartphone mentre scrolliamoil feed in treno (direttrice Bergamo-Milano via Carnate 😬 il loop più lungo...).

'

🍠 Come sotto una pioggia di informazioni sembravacomparire davanti a noi una ricostruzione a più dimensioni del murale: dall'immagine bidimensionale comparve un asse di profondità che rendeva tangibile quella tensione tra il disegno e noi, una connessione complessa che avrebbe portato ad una rete di relazioni.

Quella caricata sul web non era solo la foto di un bel viaggio e la chiusura di un capitolo, ma un segnale irrequieto e continuo ping per la creazione di nodi di un ipotetico network.

🌞 La foto del murale è diventata un'icona per accedere al Senegal:

1. llnodo attraverso cui tutti i nostri discorsi dovevano passare per trovare una traduzione in quel Paese lontano. Un'interfaccia che dava un linguaggio comune a entrambe le voci del discorso: noi e loro, con il dipinto in mezzo: un portale attraverso cui passare per andare a Koubanao. 🍠 In altre parole, l'interfaccia serve ad aiutare l'utente ad abitare una condizione virtuale, che sia un software o che sia una ricerca in un villaggio dell'Africa subsahariana occidentale. 🌞 L'interfaccia che si viene a creare non veicola completamente il mondo opposto, ma è una semplificazione, un passaggio comune da cui filtra solo una ridotta gamma di significati, 🍠 che può facilitare certi gesti e nello stesso tempo impedirne altri. 🌞 Avete presente quel meme del cammello e della cruna dell'ago? Una comodità in comune tra due discorsi che comunque faticheranno a parlarsi e non potranno capirsi (restando ciascuno nel proprio contorno) perché fondamentalmente rimangono sguardi non assimilabili. Questa parola in comune che abbiamo imparato assiemeè solo la prima, la prima e necessaria per poi aggiungere in un lavoro collettivo altri pezzi fino a costruire un discorso nell'intersezione dei nostri due mondi.

2. L'icona e l'interfaccia sono una immagine - parola - significato che si autoavvera. L'icona home rappresenta, costruisce un senso e a tutti gli effetti porta alla home quando viene cliccata. In quest'ottica l'icona è una promessa e richiede al sistema che abita di essere un incantesimo coerente: come il dio garante che spacca la testa del Cartesio a metà e si incarica di far corrispondere res cogitanse res extensa: «si si» gli dice dio: «Ci sono qua io stai sicuro che quando schiacci refresh il browser si aggiorna». E così facendo crea il concetto di refresh, ne associa un gesto, delle conseguenze e lo mette sull'albero al centro del giardino, in attesa che poi qualche serpente faccia lo scherzo. L'icona contribuisce alla narrazione di un sistema attraverso le azioni e i gesti che la attivano e che attiva.

🍠 L'icona-murale attiva ed è attivata da un desiderio collettivo, creando così di fatto un network rappresentando il network.

3.🌞 Questa corrispondenza non è sempre data e ce ne accorgiamo dolorosamente o costruiamo castelli quando qualcosa non funziona. Il meccanismo di un'icona non è garantito a monte, ma fa parte di un sistema di significati che deve essere dichiarato. Un sistema che deve agire in entrambe le direzioni, al di qua e al di là dell'interfaccia, con un loop coerente tra azione e reazione, tra feedback e output.

4. Ogni immagine è frutto di un punto di vista ed è facile cadere nella trappola de il Junji Ito occidentale

Uno sguardo che crea da solo il sistema di senso entro cui il murale vive, proiettandolo sull'altro senza dialogo e scambio.

Il binomio trauma e rivelazione
→ il secondo viaggio (di un * salta)

'

🍠 Ci sono 208 Stati nel mondo, ognuno con le sue politiche di navigazione, di censura, ognuno con più o meno accessibilità al World Wide Web, con più o meno cavi sottomarini che arrivano sulle proprie coste. Le nazioni hanno popoli con un'educazione differente e con un'educazione differente riguardo internet: qualcuno ci lavora, qualcuno lo usa solo per svago, qualcuno per comunicare con i propri cari dall'altra parte del globo, qualcuno ci fa arte, qualcuno fa tutte queste cose. Ognuna di queste azioni è ripetuta spesso o saltuariamente. Se ogni interazione performatasulla rete venisse visualizzata come un puntino luminoso dal cielo, la fruizione di internet sembrerebbe un codice morse schizofrenico che ci comunica l'attitudine connettiva della nostra specie, 🌞 con alcune zone più dense e altre meno.

🍠 Internet è un mezzo globale e il nostro intento di ricerca di un internet locale è ancora aperto, un work in progress che potenzialmente non avrà mai conclusione poiché ogni porzione di utenti in un dato luogo formano un microcosmo a sé stante e potenzialmente questi microcosmisono infiniti.

'

🌵 Per questo quando abbiamo iniziato a riflettere sul tipo di progetto e sui temi che ci interessava approfondire, ci siamo resi conto che le premesse avrebbero consentito di realizzare diverse declinazioni a partire da diversi luoghi. Con progetto intendevamo infatti un punto di partenza, una direzione di ricerca il cui sviluppo sarebbe stato necessariamente differente in base al posto che ci avrebbe accolti.

Da un lato la cosa ci ha messi un po' in crisi e non abbiamo potuto fare a meno di chiederci se a questo punto avesse senso andare proprio in Senegal o se a spingerci non fosse in realtà un semplice desiderio di avventura esotica.

Fortunatamente dall'altro abbiamo ritenuto che questa versatilità non fosse una cosa negativa e siccome un * salta è una concrezione nata attorno all'idea di quel murale, a quel murale abbiamo deciso di restare fedeli.
Realizzare il primo lavoro a Koubanao non avrebbe di certo escluso la possibilità di continuare lo studio altrove, magari in luoghi a noi prossimi.

🥑L'attenzione doveva andare anche però in una direzione che definisse realmente la diversità tra due realtà comunicanti: la nostra e la loro. Un'icona del resto ha il potere di mettere in contatto con il divino, con il virtuale mondo distante di Koubanao ma anche con se stessi. Ripensandoci la vena narcisistica di questa rivelazione ha, in parte, reso necessario sviscerare il mistero: quali noi avremmo trovato dall'altra parte, nelle sabbie africane in territori del tutto al di fuori della nostra portata immaginativa e al di fuori delle nostre logiche determinanti.



🌵 Così, dopo tanto discutere, scrivere, cancellare e ripartire, siamo atterrati in Africa, abbiamo risalito il grande fiume Casamance e abbiamo posato i nostri piedi sulla terra rossa di quella regione. Lì, di fronte a noi, fra la gente, la polvere e i manghi ☞
Internet: to learn, to discover and to be closer. The world aplanetary village.


[1]Attenzione alle cipolle.